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La potente voce di Curtis Harding al Monk

Testo a cura di Fabio Babini
Foto di Sara Serra
Ci sono voci che non si limitano a cantare, ma aprono passaggi, trasformano l’aria in racconto. Quella di Curtis Harding appartiene a questa rara specie. La sua musica nasce dall’incrocio di mondi: il gospel della madre, il soul della tradizione afroamericana, il rock sporco delle strade di Atlanta, l’elettricità urbana che vibra sotto la pelle di chi non smette di cercare. Harding non interpreta un genere, lo reinventa. In ogni canzone il passato diventa linfa, il presente una rivelazione.
Cresciuto tra spostamenti continui e cori religiosi, Harding impara presto che la voce può essere un rifugio, ma anche un’arma. Dopo gli esordi come corista per la madre, intraprende la propria strada e incrocia la scena hip-hop di Atlanta collaborando con CeeLo Green, assorbendo ritmi, linguaggi, audacia. Da quella contaminazione nasce la formula che lo definirà: “slop ’n’ soul”, un impasto viscerale di groove, malinconia e libertà.
Il suo debutto del 2014, Soul Power, è una dichiarazione di intenti: un viaggio tra chitarre ruvide e fiati caldi, dove il soul diventa un gesto fisico, sensuale, non una reliquia. Face Your Fear (2017), prodotto da Danger Mouse, amplia lo spettro sonoro con toni psichedelici e arrangiamenti più cinematici, portandolo a essere uno dei nomi più eleganti della nuova musica nera americana. Con If Words Were Flowers (2021), Harding compie una svolta più intima e riflessiva: dedica l’album all’empatia, alla fragilità condivisa, a quella richiesta d’amore che si cela in ogni sguardo. Il titolo è una promessa e un invito: offrire parole come si offrono fiori, per consolare e unire.
Sul palco, Curtis non recita: vive. Ogni gesto, ogni variazione della voce sembra nascere nell’istante, come se la canzone si stesse scrivendo davanti al pubblico. Il suo soul non ha orpelli, è corpo e spirito, danza e meditazione. L’eredità di Sam Cooke, Otis Redding e Curtis Mayfield affiora nei dettagli, ma ciò che domina è la sua presenza contemporanea, magnetica, mai prigioniera del vintage.
Oggi Harding rappresenta una delle figure più autentiche della nuova generazione soul: un artista che non teme di sporcarsi le mani, di fondere stili, di attraversare il dolore con grazia. La sua voce è una carezza ruvida che parla di redenzione e di resistenza, di vulnerabilità e orgoglio.
Le fotografie che seguono raccontano proprio questo spirito. Sono state scattate durante il suo concerto al Monk di Roma, una serata in cui musica e intensità si sono fuse in un unico respiro collettivo. Attraverso le immagini si può percepire quella stessa energia che Curtis Harding trasmette con ogni nota: la sensazione che, anche solo per un momento, la musica possa davvero salvare.
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