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Gravitations degli You Beast You Act

Gravitations” degli You Beast You Act non è solo un album: è un mosaico stratificato che attraversa lo shoegaze, il dream pop e, come ombra latente, la darkwave. Questa combinazione di elementi non è un semplice omaggio a generi musicali del passato, ma una reinvenzione intima, un percorso di risonanze emotive che ci porta dentro un mondo denso di pensieri non detti, di spazi tra il suono e il silenzio, come una pausa in una conversazione intensa. La band non indaga banalmente l’umana condizione: esplora piuttosto le fratture del vivere moderno, scoprendo un equilibrio tra sofferenza e meraviglia.

“I Name My Body” è un’apertura come un sussurro risonante, in cui il desiderio di autenticità si infrange contro un sistema che disumanizza. Qui, non c’è solo ricerca di identità: c’è una rivendicazione, un atto di ribellione esistenziale. Il titolo stesso diventa manifesto di riappropriazione personale, come se dare un nome al corpo fosse la prima fase per reclamare il diritto a una propria narrativa, oltre i limiti dell’alienazione imposta. L’arrangiamento sospeso e ipnotico amplifica il senso di vertigine, lasciando nell’ascoltatore una consapevolezza strisciante.

“Swimmer” ci conduce in una dimensione liquida, in cui l’idea di adattarsi si trasforma in una ricerca di contatto con una verità intima. Come un’immersione lenta, ci si abbandona alla struttura fluttuante e avvolgente del pezzo, dove l’acqua non è solo un simbolo ma una metafora della mente stessa: fluida, cangiante, imprevedibile. La band sembra dirci che trovare armonia con il proprio essere è come sapersi muovere nella corrente, senza opporvisi ma senza lasciarsi trascinare.

Con “Fade To Grey”, la nostalgia si ripresenta in una nuova veste: la canzone, reinterpretata con cura e quasi reverenza, non è più un ricordo ma un’esperienza reintegrata nel presente. Gli You Beast You Act prendono questa icona della musica e le infondono una consistenza diversa, un nuovo peso emotivo. È come se l’eco del passato fosse stato trasformato in un riflesso, un mondo parallelo dove ogni nota riporta alla superficie frammenti di una vita vissuta in un’altra epoca.

“A Dive” non è solo un tuffo nel passato, ma una vera e propria immersione in un tempo sospeso, in cui i frammenti di ricordi si mescolano con il presente. Il brano si muove come un meccanismo, un orologio che segna un tempo interiore, non lineare. Con un ritmo che sembra scandire il pensiero stesso, l’idea del tempo perduto emerge come un’ossessione, un miraggio inafferrabile che continua a sfuggire, lasciando dietro di sé un senso di disorientamento e desiderio inappagato.

“Alive” appare come una fiamma che divampa improvvisa, una dichiarazione di lotta e presenza. Non c’è nulla di passivo qui: la musica stessa sembra volerci scuotere, rompere la staticità e l’abitudine. In “Alive”, il superamento degli ostacoli diventa una metafora della resistenza interiore, una dichiarazione d’intenti che non cerca compromessi. È come se la band volesse comunicarci che l’esistenza non va solo vissuta, ma affrontata come un campo di battaglia.

“Submerged” rappresenta un viaggio interiore che non punta alla rivelazione, ma all’accettazione dell’enigmatico, dell’insondabile. Le sonorità quasi ipnotiche ci portano negli abissi della mente, dove l’introspezione si mescola all’incomprensibile. Qui, l’atto di guardare dentro di sé non è finalizzato alla scoperta di una verità assoluta ma alla comprensione che, forse, non tutto può o deve essere compreso.

“Explosions” è un pezzo che si sviluppa come un crescendo drammatico, evocando una collisione tra forze opposte, un universo di emozioni che si scontrano e si fondono. L’intensità della musica diventa metafora del caos sociale, del tumulto emotivo che ci attraversa. È una sorta di esplosione silenziosa, una protesta contro l’impotenza davanti alla disgregazione del mondo, un grido che cerca connessione in un’epoca di disgregazione.

“Gravitations”, il cuore concettuale dell’album, non è solo una critica alla modernità, ma un’indagine sul senso stesso di esistere in un mondo in cui il contatto umano è costantemente compromesso. La melodia, malinconica e avvolgente, trasmette il senso di un abbraccio negato, di una distanza incolmabile. Non c’è rabbia in questa traccia, ma una resa delicata e consapevole, un richiamo a ritrovare il proprio centro in un mondo frammentato.

“The Night” chiude l’album come un sussurro, una passeggiata nel mistero della notte, dove l’esistenza sembra diventare più tangibile e fragile. È un inno alla vastità del mondo, alla meraviglia che ci circonda ma che, spesso, passa inosservata. Questo pezzo finale è una conclusione che lascia aperta ogni domanda, come una porta che conduce all’infinito, suggerendo che la ricerca, in fondo, non ha mai fine.

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