TONY CERCOLA: percussando si va…”Patatrac!” Alessio Primio Giu 23, 2016 INTERVISTE Napoli. Pino Daniele è uno dei nomi di riferimento se parliamo di artisti, compositori, grandi scenografi della vita in musica come Tony Cercola. Il percussatore italiano torna con un nuovo disco dal titolo “Patatrac!” uscito per la Interbeat di Luigi Piergiovanni: bellissima seduzione, retrospettiva del pop nostrano, alternativi punti di vista sulle tradizioni popolari e qualche variazioni sul tema in ambito digitale. Suona pelli reali e pelli digitali, in alcuni brani – come l’ultima “Song Inspiration” – difficilmente rintracciamo il “ruolo” di Cercola. Un disco che raccogli decine di artisti, moltissimi provenienti da altre parti del mondo, altri sono “cosa nostra” ma l’appiglio di tutto il lavoro ha poco a che fare con le origini in senso stretto. Ennesima dimostrazione di come, proprio da chi ci aspetteremmo più rigore sulle tradizioni, troviamo visioni aperte e confini totalmente lacerati dal bisogno di andare. L’intervista a Tony Cercola per gli amici di 100 DECIBEL: Inizio subito sfogliando i suoni di questo meraviglioso lavoro, poliedrico e ricco di facce e di nomi. Suoni digitali o suoni acustici? Col senno di poi se ti chiedessi di schierarti? Io credo che nella musica non ci sia bisogno di schierarsi, si schiera istintivamente il cuore. Se una melodia, un testo, un arrangiamento, riescono a darmi un’emozione, non sussiste il problema. Suoni acustici o digitali, se portano ad un’emozione, non fanno alcuna differenza. Esiste un Tony Cercola prima e dopo Pino Daniele? Insomma, la sua scomparsa per te che lo seguivi da tanto, ha segnato un passaggio e una trasformazione? Ho cominciato con Pino ed ho suonato negli ultimi suoi concerti, perciò puoi capire cosa sia stato e sia tuttora Pino per la mia vita. Ma non credo che la sua scomparsa abbia portato in me una trasformazione artistica. Quanto tutto questo ha lasciato il segno per le nuove scritture, per questo disco? Preferisco tenermi dentro il dolore della scomparsa di Pino. In questa nuova produzione non c’è volutamente niente di Pino ma forse, inconsciamente, c’è comunque sempre un po’ di Pino, come accade con Napoli, anche se non voglio, me la porto sempre dentro. Da più parti dicono di “Patatrac!” Come un disco di mille facce. Tu che rispondi? Ma soprattutto dicci, che faccia ha questo disco? Mi piace questa definizione. Che faccia ha questo disco? Ma sì…mille facce. L’importante è che ogni faccia sia capace di portarmi in giro con la fantasia e soddisfi le mie curiosità. Dare nuova veste ad alcuni pezzi del tuo passato, che significato ha? Perchè questa scelta? Nasce dall’incontro casuale con i Malacrjanza. Stavo passeggiando per i vicoli di Napoli quando fui catturato da una musica che proveniva da un sottoscala, si trattava di Babbasone, rifatto in stile raggamuffin. Mi fermai, scesi e conobbi questi ragazzi, i Malacrjanza, che mi spiegarono che loro erano cresciuti ascoltando una musicassetta, del padre dei due fratelli Spampinato, contenente il mio primo album ed erano rimasti colpiti da questa canzone, che tra l’altro all’epoca partecipò anche al Cantagiro e al Festivalbar. Così mi venne l’idea di affidare a giovani talentuosi alcuni brani del mio vecchio repertorio restituendo a loro il mio groove, la mia carriera, non come coach ma come musicista, suonando con loro, ricevendo anche da loro energia. La scelta è stata condivisa con gli altri artisti incontrati in giro per l’Italia e non solo. Mi unisco al coro: l’ultima traccia del disco spiazza un bel po’. Ce la racconti? L’ultima traccia è follia pura, l’abbiamo scritta Gino ed io in un pomeriggio di un paio di anni fa, lasciando andare il nostro istinto, senza mezzi termini. Registrammo le voci, ognuno la sua parte, senza fermarci, senza interventi, riascoltammo tutto dopo qualche giorno e scoprimmo che c’era la follia che volevamo esprimere in quel momento. Ci piacque e la mettemmo nel cassetto. Poi, a disco completato, mi tornò in mente e proposi a Gino di inserire la canzone nell’album. A Gino piacque l’idea di finire l’album in modo folle e non ci siamo fatti tanti problemi. Ognuno può interpretarla come meglio credo e forse è proprio questo il bello delle canzoni. Comments comments