MIZA MAYI: il nuovo soul internazionale Alessio Primio Mag 7, 2019 INTERVISTE C’è di tutto nell’esordio che trasforma una cantante in cantautrice. E non in riferimento a cantautore come per parlare di genere. Qui siamo di fronte al gusto estetico dell’elettronica del nuovo suol che ormai si lascia un poco contaminare dal pop internazionale come anche da quel gusto elegantissimo tra urban e periferia, tra dub e tinte world. Miza Mayi pubblica questo suo primo disco di inediti scritti di suo pugno dal titolo “Stages of a Growing Flower” in cui troviamo, nella parte di una fedele co-protagonista, il sax preparato di Jessica Cochis. Un disco elegante: ecco come lo descriverei, anche quando si lascia andare a ritmi più scanzonati e divertenti come in “Jazz the Funk” (giusto per darci un’idea di cosa troviamo a portata di ascolto) o “Tom Tom Town” che ha le forme seducenti di un qualche sloga pubblicitario che funziona. Ma anche tanto romantico esistere nelle canzoni di Miza Mayi: Un benvenuto che dai a te stessa nei panni di cantautrice. Un primo disco scritto da te… come ti ci vedi? Posso dire che questo disco rappresenti una nuova fase della mia vita, sto vivendo con più consapevolezza, sto alimentando molto la mia anima. È un lavoro che è durato parecchi mesi, anzi anni e ora è qui, udibile e percepibile. Alcuni dei brani contenuti nel disco sono stati scritti a quattro/sei mani insieme a Jessica Cochis ed Eros Cristiani, con loro il mio progetto ha preso forma e si è finalmente concretizzato, è stato un lavoro di squadra e allo stesso tempo un percorso di crescita interiore. Ho dovuto osservare da vicino vari aspetti della mia vita che sono stati determinanti, elaborare le emozioni e renderle fruibili attraverso la musica, è un bel percorso in divenire. Noi parliamo di rock e ci piace dire a tutti: secondo te, cosa significa rock? Adoro il rock, è un genere senza freni, che sa esprimere emozioni forti e allo stesso tempo delicate, il rock è uno stile di vita, è essere liberi dai preconcetti, è affrontare le sfide con decisione, è saper osare, il rock è un urlo nel cielo, è sfrontato, sexy, è la tentazione, è un bacio appassionato, il rock è vita. E in questo lavoro di Miza, che ha un taglio decisamente internazionale, quanto rock possiamo trovarci? Chitarre, chitarre e ancora chitarre. Tra i musicisti che hanno collaborato alla realizzazione del disco abbiamo il vastese Nicola Oliva che nella fase di registrazione si è divertito tantissimo a sperimentare. In “Burn Down May Soul” potete ascoltare un suo assolo pazzesco, in “Kundalini Love” le atmosfere cambiano grazie a suono di una chitarra dobro, l’effetto è spaziale. Nel brano che si intitola “The Third Way” abbiamo una bellissima parte strumentale in cui giocano due chitarre diverse, è un momento molto energico, liberatorio. Poi abbiamo la grinta, quella che a me piace definire “cazzimma”, quella non manca mai. L’Italia e le sue tradizioni: in qualche misura ha contaminato la tua scrittura? Contaminato? Non penso si tratti di una contaminazione, molti dei miei brani nascono in italiano, è la lingua in cui parlo, penso e sogno, è la mia lingua madre. Ho semplicemente dato una grande importanza ai significati, al senso delle parole, il nostro è un paese di grandi poeti, le parole non possono essere scritte così per caso, dobbiamo dar loro il giusto valore. E per chiudere parliamo di Jessica Cochis: ci racconti di questa collaborazione? Ho come l’impressione che abbia tanto passato alle spalle… Jessica è tanto per me, un’amica, una sorella, viaggia sulle mie stesse onde, ha la capacità di leggermi semplicemente con uno sguardo, la nostra è una collaborazione che dura da anni e continua a durare perché c’è molta lealtà tra di noi, nessun velo, nessuna paura. È raro avere una connessione di questo tipo con una donna, quando siamo insieme sul palco percepisco una grande energia. Lei comunica attraverso il suo sax, è come un’estensione di sé, non se ne separa mai. Che poi il suono di sax è assai caratterizzante, più che del genere, proprio di un certo periodo storico, non è così? Il sax è caratterizzante in diversi periodi storici, basti pensare al jazz anni ‘40, tra i miei preferiti ci sono Carlie Parker e Jhon Coltrane. Recentemente sto ascoltando molto Yusef Lateef e la sua fusion anni ’70, poi arrivando ai giorni nostri possiamo pensare alla sperimentazione di Kamasi Whashington e alla innovazione di FKJ, poli-strumentista francese che con il sax crea delle atmosfere magiche. Il sax ha un suono timbrato e vellutato, indiscutibilmente sensuale, comunica con il nostro lato più languido, è una carezza data con passione. Comments comments