Quando il pop si fa rock allora che pieghe prende? Loro, il Magazzino San Salvario, ha deciso di non allontanarsi troppo anche per non perdere di vista quella riva sicura della forma radiofonica. Ma nel DNA i suoni inneggiano al rock underground di provincia, delle periferie, dell’Italia fatta dai quartieri in periferia e dalla libertà di espressione. Eponimo disco per l’esordio di chi per anni ha gravitato con mestiere nella scena torinese. Allegria, scanzonata missione di fare protesta e critica sociale, quel certo modo di dare al pop un santo suono di rock.

Noi partiamo dalla parola rock che intendiamo più come un modo di essere che non un genere musicale. Non siete d’accordo?
Assolutamente sì, anche perché personalmente non amo le etichette, sia quelle usate nel tentativo di definire i generi musicali, e ancor di meno quelle appiccicate alle persone. Dal punto di vista musicale il termine rock racchiude al suo interno una tale quantità di artisti diversissimi tra loro, che alla lunga finisce per non avere più alcun significato specifico. Il rock deve essere inteso invece come un’attitudine spirituale e come uno stile di vita. Significa innanzi tutto una passione smisurata per la musica e una ricerca continua di emozioni forti, intense e profonde. Non importa che tu sia ricco e famoso o povero e sconosciuto, il rock è comunque il modo migliore che tu hai per esprimere te stesso e di rapportarti con il mondo, per cercare la tua unicità all’interno di una società che invece tende sempre di più all’omologazione.

Dunque i Magazzino San Salvario possiamo dire che sono decisamente rock?
I Magazzino San Salvario sono pazzescamente rock, non solo per la loro musica, ma soprattutto perché sono veri ed autentici. Ti faccio un esempio concreto: per quanto mi riguarda, non c’è niente di più rock del nostro tastierista Dario, che si alza la mattina all’alba per lavorare in officina, poi tutti i pomeriggi va a trovare in clinica la madre malata di Alzheimer che neanche lo riconosce più, ed infine, stanco e con il groppo in gola, trova la forza di venire in sala prove a suonare; perché quello è il momento della giornata che dà senso e giustifica tutto il resto. Questo è vero rock: una dedizione per la musica, che non ha nulla a che vedere con il genere, con le pose, gli atteggiamenti o il modo di presentarsi sul palco; parte da dentro l’anima, e spesso rappresenta la salvezza dell’anima stessa, e poi finisce inevitabilmente per trasferirsi in quello che fai.

Che rapporto avete con le distorsioni?
La “distorsione” intesa come suono, è per noi un elemento imprescindibile. La nostra formazione artistica e musicale risale agli anni Novanta, contraddistinti dal Grunge e dal Britpop, e dunque i suoni distorti sono parte integrante del nostro immaginario sonoro. Il nostro chitarrista Nanni, da questo punto di vista è un vero maestro nella ricerca meticolosa e nella selezione di suoni; all’interno del nostro Album puoi sentire almeno sette o anche otto tipi diversi di distorsione, da quelle più potenti e tipicamente rock, prodotte con amplificatori valvolari, per arrivare a quelle più acide e taglienti create in digitale, molto adatte per trasmettere un certo senso di inquietudine che è spesso presente nelle nostre canzoni.

E che rapporto invece con le parole di un testo?
Scrivere una canzone rappresenta un privilegio ed insieme una responsabilità. Le parole pesano come macigni e per questo vanno scelte con cura. Tu hai la possibilità di mandare un messaggio a chi ti ascolta e non la puoi sprecare. Per questo mi incazzo quando sento canzoni di grande successo commerciale con testi insulsi e banali; e allo stesso modo mi danno fastidio certe canzoni cosiddette d’autore, con parole eccessivamente criptiche, magari con qualche frase ad effetto, ma che poi nella pratica neanche capisci di che cosa parlino. Per quanto mi riguarda non ho un’unica modalità di scrittura. In questo Album, troverai registri e modalità assai differenti tra loro. Ci sono canzoni molto intime e personali; altre con testi invece più duri e diretti, quasi di denuncia e critica sociale, ed infine troverai canzoni contraddistinte da un forte uso dell’ironia (nel senso pirandelliano del termine), una sorta di lente di ingrandimento attraverso la quale cerchiamo di mettere a fuoco le contraddizioni della nostra società. In tutti i casi però cerco di essere sempre diretto e sincero per far arrivare forte e chiaro il senso della canzone.

Questo disco sembra che non cerchi a tutti i costi la melodia facile… ma quella semplice… la differenza è sottile ma credo opportuna per questo lavoro. Non so cosa ne pensiate…
Con questa domanda tocchi un tasto per me molto delicato. Per quanto mi riguarda io credo ancora che una canzone per essere considerata musicalmente “bella”, al di là del ritmo, dell’arrangiamento e di eventuali parti musicali, debba contenere al suo interno un’idea melodica importante e possibilmente originale. Cercando di fare questo, il rischio di scadere nello scontato e nel già sentito è sempre molto alto; d’altra parte certa critica intransigente ormai boccia a priori come “banale” qualsiasi cosa suoni anche solo lontanamente orecchiabile, come se questo fosse un male!!! Insomma, è difficile camminare su quest’asse d’equilibrio, ma spero e credo che con questo disco ci siamo riusciti. Abbiamo cercato di scrivere canzoni essenziali, semplici ma mai scontate, che potessero funzionare bene anche solo con chitarra e voce. Poi con l’arrangiamento e la produzione non abbiamo fatto altro che rendere i pezzi più efficaci, ma se togli tutto rimane comunque una canzone ispirata con una forte idea di fondo.

La ballata è un’altra dimensione importante per la vostra forma canzone… che ci dite in merito?
Mi riallaccio al discorso di prima. Personalmente io adoro le ballate, ma talvolta risulta essere una forma troppo abusata, e così si corre il rischio (specie in periodo sanremese) di sentire in giro una valanga di “lentoni” sdolcinati e ripetitivi. Tuttavia, la ballata, quando è ispirata, ti consente davvero di metterti a nudo e di toccare le corde più profonde dell’animo tuo, ma pure di chi ti ascolta. Nel nostro Album ci sono numerose ballate, ma in particolare ce n’è una che si intitola “Cose che non ti ho mai detto” che ho scritto pensando alla morte di mio padre. In questi mesi, da quando il disco è fuori, ho ricevuto numerosi messaggi di persone, alcuni amici e altri sconosciuti, che mi hanno detto di essersi molto immedesimati nel testo fino alla commozione. Questo per chi scrive canzoni è davvero il massimo, ed è un risultato che si può ottenere quasi esclusivamente attraverso una ballata. Provate ad ascoltare la canzone e poi ditemi cosa ne pensate.

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