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Jesus Lizard al Monk: un ritorno spietato tra passato e futuro

Testo: Fabio Babini
Foto: Sara Serra

Nella prima domenica torrida di giugno anticipa l’estate già alle porte, il Monk è stato per una sera un rifugio sacro per gli amanti del rock più crudo, vero e senza compromessi. Il concerto dei Jesus Lizard, band cult degli anni ’90, è stato un evento sold-out che ha richiamato una folla affamata di musica autentica e passione feroce. Un pubblico fatto in gran parte da fan storici, quelli che conoscono ogni singolo accordo, ogni urlo, ogni sussulto emotivo dei quattro di Chicago, capaci di trasformare la serata in qualcosa di memorabile, un rito collettivo di energia condivisa.

Il ritorno dopo 27 anni: un album e una sfida

Il motivo per cui l’attesa era così alta non si limitava solo alla voglia di rivedere dal vivo una delle band più influenti del rock alternativo americano. Il tour di questo 2025 ha una marcia in più, quella di promuovere ‘Rack’, l’ottimo comeback della band nonché il primo lavoro in studio dopo un’attesa quasi mitologica durata 27 anni: l’ultima uscita discografica, ‘Blue’ del 1998, aveva lasciato dietro di sé una traccia indelebile, ma anche un senso di sospensione, come se i Jesus Lizard fossero rimasti intrappolati nel tempo, irraggiungibili. Ora, con ‘Rack’ (di cui sono stati eseguiti dal vivo alcuni brani al fulmicotone), la band sembra aver deciso di raccogliere la sfida del presente senza rinnegare il proprio passato.

Il fatto che l’album sia riuscito a imporsi nel panorama contemporaneo senza sembrare un semplice esercizio di nostalgia è già di per sé un risultato straordinario. I nuovi pezzi mantengono intatto il carattere abrasivo e imprevedibile della band, ma mostrano anche una maturità che arricchisce l’esperienza d’ascolto. È come se quei 27 anni di silenzio avessero affinato uno stile unico, che ora torna a parlare con voce più profonda e consapevole.

Il Monk, con la sua capienza raccolta e l’atmosfera intima, è stato il palcoscenico perfetto per questo evento. L’atmosfera era sovraccarica di aspettative, palpabile in ogni angolo della sala, mentre le luci si spegnevano e il pubblico tratteneva il respiro. Le pareti sembravano vibrare già prima che i primi suoni si diffondessero nell’aria.

Un pubblico tutt’altro che casuale, costituito da fedelissimi, quei fan che hanno seguito la band fin dai tempi in cui i Jesus Lizard erano un gruppo underground capace di scuotere il music biz con la piacevolezza brutale dei loro dischi con quei titoli composti sempre di una singola parola di quattro lettere (‘Liar’, ‘Goat’, ‘Head’, ‘Down’, etc.) e senza compromesso alcuno. Sono questi spettatori accaniti che hanno trasformato la serata da semplice concerto a esperienza totalizzante: ogni urlo, ogni rullata, ogni riff ha ricevuto una risposta immediata, fatta di sudore, di cori, di scatti di gioia e di coinvolgimento fisico.

La spietatezza ritrovata sul palco

Sul palco, la band ha dato un vero spettacolo di potenza e controllo. Se nel tour di reunion del 2009 avevano mostrato un lato più composto, quasi “addomesticato”, questa volta i Jesus Lizard sono tornati a incarnare quella furia primordiale che li aveva resi celebri. La loro attitudine “spietata”, fatta di tensione, aggressività e imprevedibilità, ha dominato la serata.

Duane Denison, chitarrista dal tocco inconfondibile, è stato il motore pulsante del sound. La sua chitarra non ha mai smesso di lavorare: riff taglienti, ritmiche incalzanti, giochi di tensione e distensione che hanno tenuto il pubblico con il fiato sospeso. Ogni nota sembrava un colpo preciso, calibrato, ma al tempo stesso spontaneo e selvaggio, come se fosse nata da un impulso improvviso. Denison è il cuore elettrico della band, e dal vivo questa sua essenza si trasforma in un’arma sonora formidabile.

La batteria di Mac McNeilly ha aggiunto il battito incessante che ha alimentato ogni brano. La sua capacità di tenere un ritmo serrato senza mai perdere forza o precisione è impressionante. Più che un semplice accompagnamento, il drumming di McNeilly è un elemento protagonista, un uragano ritmico che spinge la musica verso l’estremo.

Il basso di David Sims ha mantenuto la struttura sonora solida e instancabile, un cemento che tiene insieme i pezzi con una potenza ipnotica. La sua performance, apparentemente meno vistosa, è in realtà cruciale: il basso pulsa sotto la superficie, creando un’energia che non lascia tregua.

David Yow, il frontman inarrestabile

Se si dovesse scegliere un simbolo della serata, quello sarebbe senza dubbio David Yow. Il frontman è stato un vulcano di energia inesauribile, una presenza che ha dominato ogni centimetro del palco e del pubblico. Yow non si è limitato a cantare, e d’altronde non lo si può definire un cantante in senso stretto, essendo cresciuto nella scienza hard-core anni ‘80: ha urlato, sbraitato, graffiato l’aria con la voce, ha spinto la sua fisicità al limite. Ha lanciato sé stesso in mezzo alla folla, creando un contatto diretto e brutale con chi lo circondava.

Il gesto dello sputo, ormai iconico, è stato presente più volte durante la serata, quasi come una dichiarazione di guerra, un modo per sfidare lo spettatore e insieme coinvolgerlo in un rito collettivo di ribellione e liberazione. Il suo modo di muoversi, quasi animalesco, ha trasformato il concerto in uno spettacolo che va ben oltre la musica: un’esplosione di pura adrenalina.

La scaletta: un ponte tra decenni

Il live ha saputo coniugare con maestria passato e presente. I pezzi storici, come ‘Then Comes Dudley’, l’iniziale ‘Seasick’ – col pubblico subito impazzito a cantare all’unisono – l’ironia ferina di ‘Destroy Before Reading’, la rediviva ‘Mouth Breather’ e la polvere da sparo di ‘Monkey Trick’, hanno fatto esplodere l’entusiasmo e scatenato il pubblico convenuto, richiamando alla mente gli anni ’90 e il loro catartico senso di ribellione e innovazione musicale. Ma come già detto, non sono mancati i brani tratti da ‘Rack’, che si sono inseriti con naturalezza nella setlist, dimostrando come la band abbia saputo rinnovarsi senza perdere la propria identità.

Questa capacità di creare un ponte solido tra generazioni ha trasformato il concerto in un momento unico, in cui la musica diventa testimonianza di una continuità creativa rara, soprattutto in un panorama musicale spesso dominato dal veloce consumo e dall’effimero.

L’eredità di una band senza tempo

Quello dei Jesus Lizard è un ritorno che va oltre il semplice revival o la celebrazione di una gloria passata. È la dimostrazione che certe band, quando sono autentiche, non si dissolvono mai veramente. La loro musica, la loro attitudine e la loro capacità di incanalare emozioni forti e vere restano vivide, pronte a riaccendersi in qualsiasi momento.

Il Monk, per una sera girone infernale (anche per la temperatura raggiunta in sala durante il live) non è stato solo un palco, ma un crocevia dove passato, presente e futuro si sono intrecciati attraverso suoni abrasivi, urla liberatorie e una partecipazione emotiva che ha trasformato tutto in un’esperienza intensa e indimenticabile.

Gioite e tremate perché i Lizard sono tornati, spietati e irriducibili, oggi come allora.

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