Quando Emiliano Tortora accende i suoi sintetizzatori, si aprono finestre su mondi paralleli: deserti elettrici, cieli plumbei attraversati da velivoli sovietici, memorie di futuri che non sono mai arrivati. Con Ekranoplan, il suo progetto solista, Tortora costruisce paesaggi sonori sospesi tra nostalgia e fantascienza, pulsazioni kraut e spirali sintetiche. Ora torna con Seid Bereit, secondo album in uscita su CD e vinile, titolo che echeggia slogan da parata socialista ma svela, traccia dopo traccia, un universo interiore stratificato e visionario. È un disco che non si limita ad accompagnare l’ascolto: lo rapisce, lo disorienta, lo riconfigura. In questa intervista, Emiliano ci porta nel cuore del suo laboratorio sonoro, tra nastri magnetici, ideologie evaporate e immaginari retrofuturisti. Preparatevi: il decollo è imminente.
Origine artistica
Il progetto Ekranoplan nasce durante il lockdown del 2020: puoi raccontarci quale stato d’animo o stimolo ti ha spinto a lanciarti in questa avventura sonora solista?
Durante il lockdown, per ovvie ragioni, i gruppi non potevano incontrarsi e fare le prove e proprio a quel tempo stavamo scrivendo i brani per il secondo album dei The Hand. Non potendo uscire di casa, il tempo per scrivere era molto e ho scritto parecchi brani, alcuni senza un obiettivo preciso, altri per l’album sopracitato. Più o meno contemporaneamente Martyn Walsh (mia vecchia conoscenza, nonché fan di The Hand), bassista dei leggendari Inspiral Carpets di Madchesteriana memoria, mi chiese se avessi voglia di remixare un brano del suo nuovo progetto. Alla fine i remix sono diventati due, entrambi usciti per la berlinese MFS, etichetta del mitico Mark Reeder della Factory Records. Lo stesso Martyn mi chiese se avessi brani nuovi da fargli ascoltare e gli mandai dei provini, che all’epoca non avevo idea di che sorte avrebbero potuto avere…il feedback fu ottimo e mi chiese perché non pensassi ad un progetto solista. Quando il lockdown finì e ricominciammo le prove con The Hand ci accorgemmo che quei brani in realtà erano finiti e arrangiati e non c’entravano moltissimo col sound del gruppo. Facendo due più due e mettendo insieme provini, idee, testi a cui non avevo mai dato un arrangiamento vero e proprio, un brano che avevo scritto nel 2015 e di cui mi ero praticamente dimenticato (l’ho riscoperto ritrovando il foglio su cui avevo scritto il testo e gli accordi, in una specie di cassettino nella custodia della chitarra elettrica), scrivendo qualche altro brano ex novo, ecco che nacque Ekranoplan.
Primo album – Deutsch‑Italienische Freundschaft
Questo disco ha un sound fortemente ispirato alla Kosmische Musik tedesca anni ’70, post‑punk, Madchester e proto‑EBM: quali influenze specifiche (Kraftwerk, Tangerine Dream, Front 242…) ti hanno maggiormente guidato nella sua composizione?
Beh, sicuramente e non solo da un punto di vista musicale la Kosmische Musik è alla base dell’ispirazione del progetto e soprattutto del primo album (diciamo che, anche per legarmi alla domanda successiva, mi piaceva molto l’idea di rielaborare il Krautrock, come se però lo si stesse producendo dal versante orientale del Muro di Berlino) e in particolare Kraftwerk, Tangerine Dream, Neu!, Can, Harmonia e LA Dusseldorf. Dopodiché tra le influenze principali citerei sicuramente i primi Human League, i DAF (il titolo Deutsch-Italienische Freundschaft naturalmente non è casuale), Fad Gadget, i primi Front 242, il Battiato degli anni ’70, The Normal, Adam & The Ants, Stone Roses (The Brown Hand nella sua versione primordiale è quasi un tributo a Made Of Stone), Joy Division e New Order, Wire, Ultravox e John Foxx, Jesus and Mary Chain, Spacemen 3, ecc.
Immaginario DDR e estetica retrofuturista
Il progetto è attraversato da un immaginario legato a velivoli sovietici, aesthetics del Patto di Varsavia, e perfino la domanda “e se il Krautrock fosse nato nella DDR?” Come si colloca questo mondo così distante, con tratti inquietanti, nella tua immaginazione musicale?
Diciamo che le due cose vanno di pari passo. Diversi anni fa a Berlino visitai il museo della STASI; nella sala dedicata ai mass media dell’epoca sono esposte le prime pagine dei quotidiani della DDR, tutte dello stesso giorno, ovvero quello della visita di Bettino Craxi a Berlino Est. Da allora nacque l’idea di utilizzare una foto di quell’evento come copertina di un album, che si chiamasse Deutsch-Italienische Freundschaft. Anni dopo, leggendo un lunghissimo articolo sull’incredibile storia dell’ingegnere Italo-Sovietico Roberto Oros di Bartini, mi fissai che un mio futuro gruppo o progetto si sarebbe chiamato Ekranoplan. A tutto questo si unisce l’amore in generale per quell’estetica, che per altro si sviluppava quasi contemporaneamente alla Kosmische Musik dall’altra parte del Muro. Ti spoilero una cosa: nel terzo album ci sarà un brano che ho scritto come se fosse la sigla di un programma televisivo della TV di stato della DDR, ma composto dai LA Dusseldorf.
Cover controversa
La copertina del primo album, infatti, ritrae appunto Bettino Craxi insieme a Erich Honecker. Come è nata questa scelta iconografica e che reazioni ha suscitato? Mi raccontavi che, proprio in merito a questa curiosa copertina, sei stato contattato da Bobo Craxi, cosa alquanto surreale! Cosa vi siete detti in quella chiacchierata?
Come ti dicevo, la scelta nasce ancora prima dell’idea di fare uscire un album solista.
L’artwork è piaciuto tantissimo e credo che inizialmente l’album sia girato ben più di quanto mi aspettassi, proprio grazie alla copertina e al titolo.
Bobo Craxi pubblicò una storia su Instagram con la copertina dell’album e un brano e mi taggò. Ci rimasi di stucco e lo ringraziai. A sua volta anche lui rimase di stucco nel leggere il mio ringraziamento in italiano, perché pensava che fossi un gruppo tedesco.
Ci siamo fatti una bella chiacchierata sulla musica cosmica tedesca e Stockhausen. Tra l’altro ora che ci penso mi chiese di tenerlo aggiornato sulle mie uscite…
Dal primo al secondo album – differenze compositive
Hai recentemente pubblicato il secondo album Seid Bereit, scritto e prodotto nel tuo home‑studio con decine di synth analogici, theremin, percussioni acustiche e ospiti: in cosa è cambiato il tuo approccio alla composizione rispetto al primo lavoro?
Le differenze tra il primo e il secondo album sono enormi. I brani del primo sono stati scritti in un arco temporale di circa 7 anni e in massima parte senza l’intento di raccoglierli in un disco. Alcuni pezzi sono stati composti, registrati e arrangiati in vari momenti e in diversi luoghi (casa vecchia e casa nuova, cantina, sala prove dei The Hand, studio di registrazione), altri sono stati costruiti e arrangiati con 1/2 synth, con cui ho fatto tutte le linee (l’80% di Magic Stone è fatto col Juno 106, perché solo quello avevo a casa in quel momento, che fa basso, brass, lead, arpeggi, droni, percussivi, ecc), altri ancora nascono da un’improvvisazione durante un concerto (Ekranoplan Theme), altri li avevo composti alla chitarra e non li avevo mai arrangiati, ecc. Tutto ciò perché in realtà è un album che nella sua quasi totalità è stato scritto prima ancora di avere l’idea di far nascere un progetto solista.
Quando stava per uscire Deutsch-Italienische Freundschaft sono nate diverse collaborazioni, ho fatto diversi remix, ho cominciato a suonare molto dal vivo e contestualmente ho iniziato a scrivere i brani di Seid Bereit. Più o meno nello stesso periodo il progetto The Hand era stato messo in stand-by e avevamo lasciato la sala prove; ho così potuto costruire il mio home studio (anzi bedroom, trovandosi in camera da letto!), dove ho interamente pensato, scritto, arrangiato, eseguito, registrato, ecc. Seid Bereit
L’approccio è stato totalmente differente, perché ho tutto l’armamentario di cui sopra sempre disponibile e il risultato è molto più organico. Oltretutto i brani (tranne The Mirror Crack’d, di cui avevo scritto solo il ritornello nel 2015, ispirandomi al romanzo di Agatha Christie) sono stati tutti composti e arrangiati appositamente per questo album, allargando anche di molto le influenze.
L’idea era quella di un album indie-cosmico-shoegaze-psych-cantautorale-post-punk, dove trovassero posto allo stesso modo Cramps e Hawkwind, Mazzy Star e Spacemen 3, Tangerine Dream e Joy Division, Kraftwerk e Buzzcocks, Bowie e Inspiral Carpets, Neu! e Battiato, Johnny Cash e Dead Skeletons, Syd Barrett e John Foxx, Jesus and Mary Chain e Echo and the Bunnymen, ecc.
Proprio per questo motivo ho cambiato la scaletta svariate volte e pezzi validissimi, che farò uscire in futuro, ne sono rimasti fuori.
Collaborazioni e ospiti
Seid Bereit coinvolge numerosi ospiti: come hai selezionato queste collaborazioni e che valore aggiunto hanno portato al progetto musicale?
Sostanzialmente questo è un album rock’n’roll, dove i brani a livello di scrittura sono, rhythm and blues, punk, ballad psichedeliche, delta blues, ecc. arrangiati poi con ritmiche motorik, synth analogici, theremin, drum-machine, Leslie, Space Echo, ecc.
In alcuni casi però sentivo che, proprio per come li avevo scritti, mancava qualcosa. In particolare in The Mirror Crack’d volevo un cantante con una timbrica più aggressiva e punk della mia, così ho chiesto a Tenda dei Giuda di cantare e a Charles Rowell dei Crocodiles di creare quelle atmosfere col suono della sua chitarra; in Friday Afternoon volevo che Simona Ferrucci, cantante e mente dietro il progetto di culto Winter Severity Index, collaborasse cantando delle parti e facesse dei backing vocals (in realtà ha poi anche aggiunto delle parti di synth!), perché l’idea era di sviluppare il brano come se fosse un mix di Fade Into You dei Mazzy Star, Or So It Seems dei Duet Emmo e Autobahn dei Kraftwerk. Quando ho finito di mixare il brano, per quanto mi piacesse già moltissimo, sentivo che ancora mancava qualcosa.
Proprio in quel periodo avevo fatto una collaborazione, uscita su K7!, con Laura Masotto, compositrice e violinista veronese eccezionale (se non la conoscessi ti consiglio di rimediare alla mancanza) e le ho chiesto se avesse voglia di suonare il violino. Appena ho montato le sue parti ho capito che l’obiettivo era pienamente raggiunto. Lonely Road invece inizialmente era un Delta Blues, che un giorno ho riarrangiato con TR606 motorica e MiniMoog, accelerandola. Ho cominciato ad aggiungere strati di synth, noise, un lead glaciale che la facesse viaggiare tra Memphis e Dusseldorf, filtri, LFO, strilli con lo space echo alla Cramps, ecc, ma mancava un elemento imprescindibile…le chitarre! Il mio amico e collaboratore in tanti progetti (tra cui il nostro nuovo gruppo in comune Atomium) Fabrizio Mazzuccato ha egregiamente colmato la lacuna.
Strumentazione e suono
Nel nuovo disco emergono percussioni acustiche, violino, doppie voci e atmosfere vintage: quanto ha influito la scelta della strumentazione (synth analogici, drum machine, echo, phaser) nel definire la poetica sonora di Seid Bereit?
Moltissimo, l’album è in gran parte nato da session live casalinghe, con uso massiccio di sequencer analogici (per citare alcuni esempi: Tried To Believe It, Friday Afternoon e The Fields Of Mars nascono da sequenze fatte con sequencer analogici e mandate in sync a diversi synth), molte parti suonate live, registrate e spesso non quantizzate, effetti e modulazioni in tempo reale, loop e stratificazioni alla Harmonia, synth, percussioni, tamburelli, maracas, feedback di eco a nastro, ecc. aggiunti live alle parti precedentemente registrate o in loop via sequencer, quindi direi che senza tutto ciò a portata di mano e utilizzabile per molte ore di fila, Seid Bereit suonerebbe in modo piuttosto differente.
Uscita in vinile e CD
Seid Bereit esce oggi anche in formato vinile oltre al CD. Quanto conta per te l’esperienza fisica dell’ascolto e come credi che il vinile amplifichi la fruizione del tuo universo sonoro?
Da collezionista di dischi e boomer quale sono, per me un album per definirsi realmente esistente deve uscire anche (mi piacerebbe dire solo, ma capisco che sarei veramente fuori tempo) su supporto fisico. Non amo l’ascolto in streaming e viceversa, per citare Battiato, sono un grande fan del “senso del possesso che fu pre-Alessandrino” di CD e vinile.
Evoluzione stilistica
Guardando all’evoluzione da Deutsch‑Italienische Freundschaft a Seid Bereit, vedi una direzione precisa nel sound o nel concept: quale “fil rouge” lega i due album e quale elemento invece senti più distante?
Il fil rouge è sicuramente un sound che guarda al (retro) futuro della Germania di inizio/metà anni ’70, del Battiato di Clic, Fetus Pollution e Sulle Corde di Aries e del Regno Unito di fine ’70. Un elemento che invece li allontana è sicuramente nell’approccio molto più live e rock’n’roll del secondo, con brani che potrebbero essere eseguiti interamente senza uso di strumenti elettronici e che allo stesso tempo contengono parti non riproducibili, perché uscite all’interno di jam session di ore con synth analogici (non dotati di memoria) e registrate live all’impronta.
Prossime tappe
Dopo l’uscita in vinile e CD e i live (Monk, Ypsigrock, PunkFunk, Undead…), quali sono i tuoi prossimi obiettivi con Ekranoplan sul fronte live e produzione? Ci saranno collaborazioni o esplorazioni sonore inedite?
Sul fronte live, mi piacerebbe nel tempo andare a lavorare maggiormente sull’aspetto visivo, integrando video, luci e scenografie, ma soprattutto allargando la live band, reclutando almeno un’altra persona.
Intanto ho 4 gran belle date in arrivo in estate (4 luglio al Monk di Roma, 12 luglio a Montegiovi sul Monte Amiata e ben due show ad un festival multidisciplinare che si preannuncia bellissimo, alle Isole Eolie)
Per quanto riguarda invece l’aspetto compositivo e produttivo, quello che ti posso dire è che il terzo album è già abbastanza a buon punto e conto di finirlo entro l’anno. Sicuramente ci sarà qualche collaborazione, ma ancora non c’è nulla di certo, quindi no spoiler.