Foto: Lorenzo Gobbi
Roma, 23 giugno 2025 – Nella città eterna, in un angolo verde sospeso tra i suoni del passato e le vibrazioni del presente, è andato in scena un concerto che ha avuto il sapore del rito. I Casino Royale, storica formazione milanese attiva dal 1987, hanno riportato sul palco un’esperienza sonora che non è solo musica, ma narrazione collettiva, stratificazione culturale, tensione politica e ricerca artistica costante. Il contesto non poteva essere più azzeccato: la Casa del Jazz, con il suo spazio immerso nel parco, ha offerto una dimensione intima e densa, capace di accogliere senza disperdere, di concentrare senza costringere.
Il concerto si è aperto con toni bassi, oscuri, quasi in penombra, come a voler dichiarare fin da subito la traiettoria del nuovo corso. La band, nella sua formazione attuale, appare come un laboratorio in continuo fermento, capace di tenere insieme i cardini storici — Alioscia Bisceglia, frontman dalla presenza magnetica, e Patrick Benifei (aka Pat Cosmo), alle tastiere e alla seconda voce — con nuove collaborazioni che, lungi dall’essere comparse decorative, sono parte viva dell’identità rinnovata del gruppo. A partire dal producer Clap! Clap! alias Cristiano Crisci, artefice di quella tessitura elettronica che ha spinto la band in una dimensione più contemporanea, e spesso più cupa, rispetto alle derive dub-reggae degli anni passati.
Ma la vera rivelazione della serata è stata Marta Del Grandi, voce solista part-time e corista sui generis, che ha saputo imprimere una nuova profondità alle dinamiche del gruppo. Le sue interpretazioni non si sono limitate a sostenere i cori o a colorare i brani di rifiniture vocali: Marta è stata protagonista. In pezzi come ‘Sono Già Scorpione’ o ‘Da Adesso’ la sua voce ha portato un respiro quasi cinematografico, incrociando eterea delicatezza e presenza scenica intensa. È lei a dare un corpo emotivo al gelo atmosferico di molti brani estratti da ‘Fumo’, l’album pubblicato a fine 2024 e divenuto asse portante del live.
Fumo, appunto. Un titolo che è già dichiarazione d’intenti: qualcosa che avvolge, che sfuma i contorni, che lascia il segno ma sfugge alla presa. L’album ha rappresentato il fulcro del concerto, con un’esecuzione che ha saputo restituire tutta la sua complessità. Qui i Casino Royale esplorano territori sonori più scuri, spigolosi, meno danzerecci rispetto a certi episodi del passato, ma non meno intensi. La ritmica dub rimane, certo, ma viene frantumata, distorta, diluita in atmosfere elettroniche che guardano all’avant-pop, al trip-hop, alla club culture europea, sempre mantenendo quel timbro inconfondibile, quel Royale Sound che è più di un’etichetta: è un’identità.
Tra le pieghe di questo nuovo paesaggio sonoro si è inserita con forza anche Alda, giovane rapper e performer che ha anche aperto la serata con un breve live solista, ospite d’eccezione per due momenti chiave della serata. In ‘Sola’, la sua voce tagliente ha spezzato la densità atmosferica del brano con barre crude e dirette, mentre in ‘Odio e Oro’ ha intrecciato le sue liriche con le melodie vocali di Alioscia e Pat Cosmo, creando una tensione emotiva palpabile, nonché un tentativo di creare un ponte tra generazioni all’apparenza distanti tra loro. La presenza di Alda non è stata un mero cameo, ma la conferma di quanto la band sia ancora capace di intercettare e valorizzare i nuovi linguaggi, aprendo spazi di contaminazione senza mai forzare le connessioni.
Eppure, se ‘Fumo’ ha dominato la scaletta con autorevolezza, qualche classico non poteva mancare. Anzi, è proprio nel contrasto tra vecchio e nuovo che la forza dei Casino Royale si mostra nella sua pienezza. ‘Cose Difficili’ è stata accolta dal pubblico come un mantra ritrovato, un manifesto ancora valido, in cui la voce di Alioscia si è fatta graffiante e commossa. ‘CRX’, con la sua struttura serrata e l’urgenza urbana, ha risvegliato memorie ma non nostalgie: qui la storia non è mai qualcosa da rievocare, ma un materiale vivo, che si rimescola e si rigenera, tanto che il pubblico – su invito dello stesso cantante meneghino – si è alzato all’istante dalle proprie sedie per andare a ballare e cantare sotto al palco.
Il momento più danzante della serata è arrivato con ‘Royale Sound’, eseguita in una versione rivisitata in chiave “giamaicana”, presa dal disco ‘Royale Rockers’. Un momento di respiro, quasi di celebrazione, in cui la band ha ricordato le sue radici senza indulgere nell’autocompiacimento. La sezione ritmica ha dato il meglio di sé, sostenendo con eleganza un’esecuzione ora calda e coinvolgente, capace di mettere in moto anche il pubblico più statico.
Ma è sul piano dell’identità artistica che i Casino Royale hanno dato il segnale più forte. In un’epoca di revival infiniti e operazioni nostalgia, il gruppo ha scelto un’altra strada: quella della trasformazione continua, del rischio, del confronto con ciò che è nuovo e sfuggente. Ogni pezzo, ogni arrangiamento, ogni intervento degli ospiti ha contribuito a costruire una narrazione sonora coerente, stratificata, che ha saputo parlare tanto agli ascoltatori storici quanto a chi, forse per la prima volta, si è trovato davanti a questo universo musicale inclassificabile.
Al termine del concerto, con il pubblico ormai in piedi e l’atmosfera elettrica, è arrivata la frase che ha suggellato la serata. Alioscia, microfono alla mano, si è rivolto al pubblico con la consueta ironia consapevole: “Casino Royale, dal 1987 al 2025… Siamo tornati e siamo di nuovo emergenti ancora una volta, ma va bene così!”
E in quelle parole, apparentemente leggere, c’era tutto. Il peso della storia, la leggerezza dell’ironia, la fierezza di chi non ha mai mollato, la fame di chi non si accontenta. Non una celebrazione sterile, ma un atto di fede nel potere trasformativo della musica. I Casino Royale non sono solo tornati: sono ripartiti. E sembrano ancora una volta all’inizio di qualcosa.