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Any Other al Teatro Basilica di Roma: la bellezza disarmata delle canzoni nude

Nel cuore della capitale, dove la pietra incontra il suono e la sera si fa complice, il Teatro Basilica ha accolto una delle voci più autentiche della nuova scena cantautorale italiana: Adele Altro, in arte Any Other, live organizzato con la consueta professionalità e coerenza da Unplugged in Monti. Domenica 19 maggio, poco dopo le 19:00 — con un secondo spettacolo previsto alle 21:00 per soddisfare la domanda crescente — la sala si è riempita di un’attenzione rarefatta, pronta a lasciarsi attraversare da un concerto che ha fatto della semplicità la sua arma più affilata.

Sul palco, solo lei e la sua chitarra acustica, nessuna band, nessun artificio. Solo legno, corde e una voce che sa essere carezza e fenditura, suono che si infrange e si ricompone. La scena è spoglia, ma non vuota: è come se tutto il superfluo fosse rimasto fuori dalla porta, per lasciare spazio a un’intimità senza filtri, in cui la musica prende il tempo che le serve e lo dilata.

Una voce, una chitarra, un mondo

Any Other ha proposto un set essenziale, eppure ricchissimo di sfumature emotive. A impreziosire la scaletta, accanto a brani provenienti dai suoi dischi pubblicati con 42 Records (recuperate, qualora non li aveste mai ascoltati, ‘Two, Geography’ e ‘Silently. Quietly. Going Away.’), ci sono stati i quattro pezzi del suo ultimo EP ‘Per Te Che Non Ci Sarai Più’, eseguiti tutti dal vivo per un pubblico in religioso silenzio.

Quattro canzoni diversissime tra loro, eppure unite da un filo invisibile: quello di una scrittura che scava a fondo senza mai alzare la voce. Un brano in inglese, due in italiano, uno sorprendentemente in giapponese — una scelta che potrebbe apparire eccentrica, se non fosse che nelle mani (e nella voce) di Adele tutto suona coerente, fluido, necessario. Nessuna ostentazione, solo un’urgenza espressiva che si muove libera tra lingue e registri, come se le barriere linguistiche non fossero altro che un piccolo ostacolo in un racconto più grande.

E quando canta in giapponese, non è solo la sorpresa a colpire. È la delicatezza con cui la melodia si adagia sulla fonetica, la naturalezza con cui il significato arriva anche senza capire ogni parola. La voce, qui più che altrove, diventa puro strumento espressivo, in grado di farsi comprensione emotiva prima ancora che razionale.

Canzoni che respirano

Le versioni acustiche hanno spogliato i brani di ogni ornamento, rivelandone l’ossatura emotiva. Se in studio certe soluzioni di arrangiamento amplificano le tensioni, qui il silenzio diventa parte integrante dell’esecuzione. Le pause, i respiri, il timbro della chitarra che vibra nel vuoto della sala teatrale: tutto partecipa alla costruzione di un clima quasi sacrale.

Il pubblico, composto da ascoltatori attenti e visibilmente coinvolti, ha accolto ogni brano con un rispetto quasi tangibile. Non un bisbiglio, non un rumore fuori posto: solo un ascolto attivo, profondo, come se ognuno fosse lì per custodire un segreto comune. E in effetti, quello che succede quando un’artista riesce a creare un ponte così diretto con chi ascolta ha qualcosa di magico, di fragile e potente al tempo stesso.

L’apertura di Tutto Piange: delicatezza elettrica

A dare il via alla serata è stata Virginia Tepatti, in arte Tutto Piange, giovane cantautrice dalla scrittura viscerale e poetica. Armata della sua chitarra elettrica, ha aperto il concerto con un set breve ma intenso, che ha saputo subito creare la giusta atmosfera.

Le sue canzoni, dalle tessiture indie e dai testi intensamente personali, si sono mosse in bilico tra fragilità e forza, tra introspezione e urgenza comunicativa. La scelta dell’elettrica — usata con discrezione e sensibilità, senza mai sovrastare la voce — ha conferito ai suoi brani una consistenza sonora vibrante, malinconica, sospesa. Un’apertura perfettamente in linea con il tono della serata, e un nome da tenere d’occhio nel panorama emergente.

Una connessione sincera

Nel corso dell’esibizione, Any Other ha dialogato con il pubblico con pochi gesti, ma sempre pieni di significato. Nessuna retorica, nessun vezzo da palco: solo parole semplici, sorrisi sinceri, piccoli ringraziamenti. E una gratitudine che sembrava passare in ogni nota.

Non è facile reggere un intero concerto da soli, senza rete, senza l’appoggio di altri strumenti o musicisti. Ma Adele Altro ci è riuscita con disarmante naturalezza, mantenendo viva l’attenzione per tutta la durata del set. E lo ha fatto senza mai dover alzare il tono, affidandosi interamente alla palese qualità del suo repertorio e alla sua presenza silenziosa ma avvolgente, fragile ma tenace.

Una musica che non cerca conferme

Il concerto al Teatro Basilica non è stato solo un evento per voci e sei-corde, ma un momento di sospensione dal ritmo frenetico del quotidiano. Any Other ha dimostrato ancora una volta che si può fare arte senza cedere alla necessità di stupire, che si puòancora lasciare il segno anche (e “soltanto”) con la propria voce e una chitarra.

Il suo è un percorso artistico coraggioso, coerente, in continua evoluzione. Anche con i brani più recenti — e con la decisione di portarli dal vivo in una forma tanto spoglia quanto intensa — la cantautrice ha scelto di non rincorrere il suono dominante, ma di restare fedele a sé stessa, anche a costo di esporsi. E in questo, forse, sta il cuore del suo lavoro: nella vulnerabilità trasformata in forza, nell’onestà come scelta stilistica.

Il Teatro Basilica, con la sua acustica calda e la sua atmosfera raccolta, si è rivelato il luogo perfetto per ospitare un concerto così intimo e profondo. Due repliche in una sola sera non sono un caso: Any Other è un’artista che, pur senza il patinato clamore delle copertine, continua a raccogliere consensi reali, profondi, che nascono da un ascolto autentico e da un legame sincero con chi la segue.

E in un tempo che ci abitua a consumare tutto in fretta, la sua musica ci invita a restare. Ad ascoltare davvero. A sentirci parte di qualcosa di più grande.

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