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Piero Pelù infiamma Roma

Testo di Fabio Arboit
Foto di Sara Serra

Non andavo a un concerto di Piero Pelù da un paio d’anni.

Quei concerti che ti lasciano addosso l’odore del rock, le vibrazioni nelle ossa, e la voce un po’ rotta per quanto hai urlato.

Ma quando ho letto Il Ritorno del Diablo Tour, sapevo che dovevo esserci.

Un titolo così non è una promessa: è una dichiarazione.

Arrivo al Largo Venue di Roma mentre fuori è ancora chiaro, il concerto è Sold Out da tempo.

Ha appena smesso di diluviare sulla capitale, ma quello che sta per arrivare, è un ciclone carico di energia.

Gente di tutte le età: padri coi figli, coppie storiche con le magliette dei Litfiba ormai scolorite, e ventenni con gli occhi curiosi, pronti a scoprire chi è davvero questo Diablo italiano.

Appena le luci si abbassano iniziano le note di Urlo che fanno da intro della serata.

Entra la band e poi Piero, T-shirt con i teschi e lo sguardo da cavallo di razza, microfono impugnato come un’arma.

A quel punto il tempo sembra fermarsi.

Attacca con Lo Spettacolo e il Largo Venue si trasforma in un magma bollente.

Io, che ero arrivato tranquillo pensando di fare due foto e ascoltare con calma, mi ritrovo a saltare come se avessi vent’anni (sarà per questo che le mie foto sono un po’ mosse per fortuna c’era anche Sara Serra).

La band è una macchina potentissima, il suono è esplosivo ma pulito, ogni nota arriva dritta alla bocca dello stomaco.

Max Gelsi al basso, Amudi Safa alla chitarra e Luca “Mitraglia” Martelli alla batteria.

E poi quasi nascosto dietro, arriva Antonio Aiazzi, il tastierista storico dei Litfiba: quando attacca le prime note di Eroi Nel Vento, mi viene la pelle d’oca.

Non lo nascondo, ho gli occhi lucidi, perché ricordo bene quando uscì Desaparacido che da poco ha compiuto 40 anni (10 Marzo 1985). (articolo qui)

Pelù non si limita a cantare: parla, provoca, racconta.

Ci ricorda quanto siano ancora attuali certe storie di lotta e di sparizioni e non retorica, è rabbia vera, viva, che si sente anche nei riff.

Si percepisce perfettamente che Non siamo qui solo per guardare indietro. Il Diablo c’è ancora, e ha fame.

Lo dimostra con brani più recenti che non sfigurano affatto accanto ai grandi classici, come Bomba Boomeranga e Gigante.

É stato bello vedere i componenti degli Spleen (che hanno aperto il concerto e di cui vi parlerò presto nella mia rubrica Lunedì Musica), correre sotto al palco a cantare Istanbul a squarciagola, così come Spirito e Lacio Drom.

Questo è il segno che le canzoni non hanno tempo o età, sono emozioni, vibrazioni che ti entrano dentro nel profondo e se ne fottono delle generazioni.

Tra il pubblico c’erano anche molti amici di Piero, in prima fila Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi.

Anche con loro il concerto si è chiuso con una versione a cappella di Bella Ciao, come ha ricordato Pelù e visti gli ultimi eventi, è sempre tempo di resistenza.

Esco a notte inoltrata che ho ancora le orecchie che godono per quello che hanno ascoltato e con un sorriso largo così.

La certezza però, è che rivedrò un concerto con questa carica tra qualche mese, quando Piero Pelù tornerà a suonare a Roma.

Intanto mi porterò dentro questa serata per un bel pezzo, il Diablo è tornato e io c’ero.

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