Ora facciamo un gioco assai ambizioso. Laviamo via dalla coscienza e dal quotidiano quella musica che, dal pop dei talent alle hit estive, sono meri prodotti disegnati su carta contabile di aziende in cerca di bilanci color del verde.
Laviamo via dalla pelle i burattini che da queste manovre prendono vita, anche troppo spesso, o che restituiscono vita ai vecchi artisti convertiti in manovratori di show ben paganti. Tutti attori di una spazzatura che ingolfa l’anima e il respiro, come quel sudiciume che si appiccica e poi si incolla e alla fine non lo stacchi, come l’umidità di periferia di cemento dei palazzi popolari nel mese di Agosto. E poi laviamo via anche quell’enorme distesa infinita di giornalismo che genera opinione pubblica che a sua volta genera opinionisti (manco a dirlo) espertissimi che a loro volta dai grandi media contaminano il pubblico inerme (l’ha detto la televisione!!!) che a sua volta scrive pagine e pagine nel mondo dei social che poi diventa il nucleo popolare dell’informazione ritenuta valida per i media di venir coltivata ulteriormente.

Laviamoci via di dosso tutto questo. Resta quella musica che un tempo e, badate bene, ancora oggi si fa senza immagine di copertina e cappelli alla moda. Quella musica che ha soltanto lo stupido scopo di rappresentare se stessi, di raccontare l’istante che accade d’intorno, di afferrare dal braccio il passaggio di un uomo, le labbra di una donna, il pulsare di un vecchio amore scritto sul diario, di incorniciare il giallo antico di una fotografia o di registrare il fischio lontano di un treno a vapore. Quella musica che prima ancora delle copertine di rotocalchi di scena cerca aria libera e cuori puliti. Che poi le cose pulite, scrive Stefano Benni, incontrano sempre qualcuno che le vuole sporcare. Così le buone intenzioni, così le buone morali, così le buone canzoni. Belle parole. Eppure abbiamo perduto la grazia e il bello, li abbiamo nascosti segreti in un cassetto altrettanto segreto della casa vecchia dove viveva la nonna, abbiamo scordato di ricordare a noi stessi qual’è il gusto da inseguire per crescere, quello buono da insegnare ai nostri bambini, quello che invece dobbiamo condannare al cestino perenne. Abbiamo scordato che significa far bella la musica, quella da incidere sui dischi come quella suonata su un palco. Pensiamo prima ad aver atteggiamenti di sorta scopiazzando i cappelli piuttosto che le frasi, quelle dei vip famosi ormai solo sui social. Persino i grandi italiani l’hanno scordato. Non tutti almeno, ma duro fatica a trovarne ancora di valli incontaminate. Come se far musica fosse un dovere più che un Diritto. E comunque vero è che in entrambi i casi si abbisogna di quel magico ingrediente che tutto regola sotto voce e lascia segni importanti solo se abbiamo anime altrettanto ricche di grazia tali da accorgersene: manca il Rispetto.

Ed è così che la musica oggi sopravvive, senza gusto, senza rispetto, senza gavetta e senza qualità. A casa prima registravamo le demo oggi produciamo dei dischi alla stregua di quello che facevano i vip che tanto imitiamo. Un tempo a casa avevamo le salette di prova. Ora li chiamiamo home studio. Qualcuno si fa anche pagare dando degna concorrenza agli studi di produzione, quelli veri che sono costretti alla chiusura. La tecnologia va avanti di certo, com’è altrettanto certo che noi si sta regredendo a passo svelto e a suon di non Rispetto verso il mestiere. Tanto vero poi che nessuno ha più neanche l’orecchio educato all’ascolto di un disco, della sua qualità, dei suoi difetti e di ciò che è amatoriale. Tanto che – e qui lancio una sfida silenziosissima – rarissimi sono quei musicisti e (addirittura oserei dire) giornalisti musicali che in casa o in ufficio o in garage hanno un impianto importante per ascoltare la musica che andranno a vivere, suonare e giudicare. Poi però facciamo i professorini saccenti del suono da voler ottenere in studi improvvisati al momento, in una camera da letto piuttosto che in un garage in disuso. Viviamo nel mondo dei social in cui il tutto deve succedere necessariamente ora, abbiamo perduto anche il rispetto del tempo per far accadere gli eventi. Intasando il mondo e i mestieri di un tutto fatto in casa, non abbiamo più tempo per far bene anche soltanto una cosa. I giornalisti giudicanti non hanno neanche tempo di ascoltare la musica che dovranno raccontare.
Vi racconto un aneddoto: un giorno, una giornalista di rotocalchi famosi (anzi famosissimi) mi ha dato del principiante nella scrittura dei testi e per questo non avrebbe pubblicato niente in merito. Magari aveva ragione, per carità, non polemizzo su questo. Ma sono rimasto tristemente disarmato nel vedere che mi venisse dato un simile e definitivo giudizio da una professionista di quel livello solo dopo 4,13 minuti (i social tengono bene il conto delle conversazioni) spesi per l’ascolto di un disco di 11 brani. Sarà capitato a tutti. Sarà capitato a troppi. Sarà ormai la prassi di sempre.
Signori lettori, l’ipocrisia galoppa e come un cancro staziona, vive e prolifica in ogni dove del nostro quotidiano in merito a certi argomenti. La musica ed il suo mestiere è sicuramente uno di questi. Ognuno dirà frasi utili a lavar via la coscienza. Ognuno vivrà in altro modo sicuramente. Ognuno dirà che non è colpa sua. Poi però apri i rotocalchi famosi e tutti ebeti restiamo come pecore a condividere perfette idiozie mediatiche che i burattinai di turno inventano per sfruttare la situazione.

Siamo tutti colpevoli di questa crisi sociale e culturale che autoalimentiamo. Ci siamo ridotti a dar credito ad attrici famose che recitano la parte di ragazzine imbecilli pronte a dire emerite stronzate e dietro milioni di persone condividono e visualizzano convinti che sia vero potendo così sfogare la loro morale di turno sapendo di vincere su terreni facili. Oppure ci ritroviamo a discutere su Showman che mostrano il lato peggiore della stupidità sociale, donne in prenda alla droga piuttosto che interviste a relitti umani da prendere in giro. Qualcuno inventa anche scandali e finte fotografie… insomma, tutto questo colleziona più riscontri di un ragazzo che ha postato il suo video, la sua nuova canzone, il frutto magari di sacrifici e fatiche intellettuali. Questa è storia di Tutti. Poi ci lamentiamo e facciamo le morali, come questa che scrivo di getto, però alla fine gli imbecilli hanno milioni di visualizzazioni e gli altri raschiano un barile vuoto ormai da anni. Siamo italiani anche per questo. Figli a fantocci del paese del gossip. Inutile lavarsi via la coscienza e dire “Io non sono stato”. Di tutti noi è la colpa.
Poi ci sono le cose buone e, come scrive sempre Benni, si trova subito qualcuno che le vuole sporcare. E in provincia, se un premio ti arriva, non significa che lo hai meritato: bensì che lo hai pagato. E se in provincia quel premio non arriva, significa che sono gli altri ad averlo pagato.

Ok torniamo al gioco. Laviamo via di dosso tutto questo. Se fosse possibile. Per un solo istante. Laviamolo via.
Che bel paese che resta e che bella musica che gira nell’aria.
Non è utopia. Ce ne sta tanta davvero. Basta cercare. E con questi maledetti social, non è neanche difficile.
Che bel paese che si vede da qui…

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