Parliamo di un disco che celebra a pieno la canzone d’autore propriamente detta. Sono di casa la cultura e il gusto estetico come deriva interessante di quelle letterature pregiate. Qui trova anche riparo la musica, quella artigianale ovviamente, quella suonata con anima e grande esperienza, a firma di musicisti del calibro di Francesco Moneti (dei Modena City Ramblers) e Claudio Giovagnoli (dei Funk Off), due delle figure più rilevanti di tutta la band che si è succeduta alla realizzazione di questo nuovo disco del cantautore toscano Marco Cantini. E poi le collaborazioni e gli ospiti che sono Marco Rovelli, Tiziano Mazzoni, Nicola Pecci e Silvia Conti.
Si intitola “La febbre incendiaria”, un importante viaggio di letteratura in canzone che l’artista intraprende per parlare – a modo suo s’intenda – del celebre romanzo di Elsa Morante dal titolo “La Storia”. Personaggi, momenti narrativi che Cantini ci racconta dando voce alle sue parole, alle sue chiavi di lettura senza esporsi in prima persona – pensiamo noi – senza sostituirsi all’opera e senza troppo giudicarla in alcun modo. Sono 14 inediti, sono fotografie che fanno di un disco lungo ed impegnativo qualcosa di prezioso per la nostra tradizione cantautorale… e poi un gran suono a confezionare brani per lo più ripresi in studio in presa diretta. Il disco è ricco anche di dipinti a cura del padre Massimo Cantini e di video ufficiali rilasciati in rete: noi peschiamo “Un figlio” girato a Firenze da Lorenzo Ci e Giacomo De Bastiani, con Anna Moretti, Sayak Liam Rijkard ed Ernesto Verga. Ispirato alle pagine della Morante che narra dei bombardamenti avvenuti nel ’43 a San Lorenzo, il singolo di Cantini si fa soprattutto bandiera di attualità e di liberazione dai tanti padroni che la vita quotidiana ci impone, dalle discriminazioni, dal diverso. Resistenza giovanile appunto, l’opposizione spirituale e culturale, l’incontro delle personalità. Segnaliamo le citazioni che sono “Jules e Jim” di Truffaut e “Bande à part” di Godard.
Certamente siamo lontani anni luce dal concetto main stream dell’estetica musicale, di canzone dalle forme accattivanti con soluzioni radiofoniche e quanto altro. Siamo in tutt’altra direzione. Cultura, conoscenza, attenzione…

Elsa Morante. Un disco impegnativo… da cosa hai preso ispirazione? Cosa ti lega a quel romanzo?
L’ispirazione, ça va sans dire, è arrivata dai temi tristemente sempre attuali del romanzo: le persecuzioni verso i più deboli e verso ogni diversità, la crudeltà di ogni guerra. È questo, quello “scandalo che dura da diecimila anni”, a cui alludeva Elsa Morante.
Resta la ferma volontà, da parte mia, di restare vigile con la Storia. Per non perdere mai di vista le tracce importanti del nostro passato.

Noi parliamo di rock che intendiamo più nel senso spirituale del termine più che in quello estetico e di genere. Rock come appeal di vita, come abbandono emozionale verso una forma espressiva. Ci piace vederla così. Dunque in qualche modo, secondo questa didascalia, c’è del rock in questa nuova opera di Marco Cantini?
Vediamola così. E vorrei restarne felicemente intrappolato, parafrasando Joe Jackson.

Un suono ripreso dal vivo in studio. Davvero un risultato gustoso e ben riuscito. Ci parli della produzione?
Ho prodotto il disco assieme all’immarcescibile (come amo definirlo, scherzosamente ma non troppo) Gianfilippo Boni. Portando nel suo studio 13 canzoni del disco (che si sono aggiunte a “L’orrore”, precedentemente prodotta) già complete delle strutture e dei temi strumentali, che avevo già deciso e composto in fase di scrittura. Dopodiché, in sala prove, abbiamo sviluppato gli arrangiamenti delle canzoni assieme allo stesso Boni, Riccardo Galardini, Lorenzo Forti, Fabrizio Morganti e Lele Fontana. Con questa squadra straordinaria abbiamo registrato le canzoni in presa diretta, suonando live presso lo storico Larione 10 di Firenze. Ad essi si sono aggiunti in sovraincisione Francesco Fry Moneti e Claudio Giovagnoli. Oltre a loro, una serie di artisti e musicisti eccellenti, che hanno consolidato la grande qualità esecutiva dell’intero lavoro.

Lavorare con Moneti per te non è una novità anzi, ormai è un fedele compagno di viaggio. E Claudio Giovagnoli? Come e quanto hanno contribuito i suoni dei Funk Off?
Sono entrambi due amici e due musicisti preziosi: per il suono che hanno dentro, per l’anima e per il cuore. Claudio ha contribuito molto anche in questo album, così come nel precedente “Siamo noi quelli che aspettavamo”. Il suo sax per me è irrinunciabile, oltretutto mi riporta a quelle atmosfere tanto amate di “Ho visto anche degli zingari felici”, con gli splendidi assoli di Danilo Tomasetta.

Arte pittorica come sempre, non può mancare. Hai sempre legato assieme le due cose… non è così? Questa volta hai convinto tuo padre a dipingere per te… come si sono incontrate queste due forme d’arte? Sono nati prima i dipinti o prima la musica?
Sia la copertina che gli interni sono sue opere, realizzate in anni recenti e certamente non per il booklet del disco. Ma le ho trovate molto adatte ad illustrare le tematiche del romanzo riprese dalle mie canzoni. E lo ringrazio molto, per avermi gentilmente dato la possibilità di utilizzarle a questo scopo.

A chiudere vorrei parlare del video di “Un figlio”. Hai sempre curato molto la narrativa dei tuoi video… questa volta, mi fanno notare, c’è anche un retrogusto sociale e una citazione francese…
È il frutto della proficua collaborazione con Giacomo De Bastiani e Lorenzo Ci. Le citazioni francesi sono in realtà due, con le quali i registi si sono divertiti ad omaggiare Jean-Luc Godard e François Truffaut. Un’idea che ho molto apprezzato.

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